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Leducazione alla verità comincia in famiglia

di Marco Deriu, docente di Teoria e tecnica della comunicazione, Università Cattolica, MI

Da quando esiste l’informazione esistono anche le notizie false, oggi chiamate fake news. Quindi, da quando esiste l’informazione esiste anche la necessità di distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è, non soltanto da parte di chi diffonde contenuti informativi ma anche da parte di chi li riceve.

I media non si preoccupano di educare alla verità i propri destinatari, che sono quindi chiamati a sviluppare autonomamente la propria capacità critica nei confronti dei messaggi che ricevono. 

Per fare questo occorre impegnarsi ad andare oltre le apparenze, riconoscere il proprio punto di vista e quello altrui, ancorare i contenuti alla realtà, coltivare una competenza specifica sul funzionamento dei mezzi di comunicazione.
In questa direzione, si è da tempo sviluppato anche in Italia il filone della Media Education, intesa come attività formativa e didattica finalizzata a sviluppare informazione e comprensione critica sulla natura e le categorie dei media, sulle tecniche da essi impiegate per costruire testi e produrre senso, sui generi e sui linguaggi specifici dei diversi strumenti.
Se la scuola rappresenta un luogo privilegiato per l’approccio media educativo, non c’è dubbio che il primo nucleo sociale in cui l’educazione ai media deve svilupparsi sia la famiglia, in quanto cellula fondativa del vivere comunitario e della trasmissione dei valori fondamentali.

La famiglia stessa, del resto, ha una responsabilità primaria nella gestione di processi della comunicazione mediatica, soprattutto rispetto ai mezzi come, per esempio, la televisione, il PC e lo smartphone che “abitano stabilmente la casa.

Com destinatari privilegiata dell’offerta mediatica, la famiglia deve anche rivestire il ruolo di interlocutore attivo nei confronti di chi produce informazione e comunicazione, per riuscire a incidere positivamente sulla qualità dell’offerta mediatica.

La ricerca della verità non si fa da soli, ma insieme e parte dall’autenticità delle relazioni. Se le tecnologie digitali facilitano la velocità del contatto e la possibilità di restare sempre connessi con gli altri, la comunicazione interpersonale diretta rimane il presupposto fondamentale per un rapporto autentico e vero con gli altri e con la realtà del mondo.

Donne per la Chiesa

Provenienti da tutta Italia e impegnate in diversi ambiti sociali e ecclesiali, un gruppo di donne ha elaborato un documento che espone i principali problemi sul ruolo della donna nella Chiesa. L’esigenza di scrivere questo Manifesto è nata per dare voce a un mondo femminile composto da donne credenti che hanno a cuore la possibilità di esprimere nella Chiesa ciò che sono, senza rinunciare ai propri talenti e alla propria assertività, e che sono pronte a offrire il proprio servizio alla comunità ecclesiale con competenza e coscienza del proprio valore.

Si legge nel Manifesto: «Alla Chiesa, come anche alla società e alle nostre famiglie, vogliamo portare tutto ciò che siamo e non sminuirci per compiacere qualcuno. Non sentiamo il bisogno di riconoscerci in modelli preconfezionati, ma rivendichiamo la possibilità di costruire ciascuna il proprio cammino unico e irripetibile: come persone, come donne, come sorelle, figlie, mogli e madri. Amiamo la maternità, ma siamo consapevoli che è ben più grande e irradiante della maternità fisica, essere generative in ogni situazione della nostra vita, compresi i luoghi di lavoro, dell’impegno sociale e politico».

E ancora: «Vogliamo dare un messaggio chiaro sul genere di femminilità di cui riteniamo che la Chiesa abbia bisogno. Vogliamo farci conoscere per testimoniare che nella Chiesa ci sono donne che non si sottomettono e poter così avvicinare anche altre sorelle nella fede che si sentono disorientate da quest’ondata tradizionalista. Non rinunciamo a portare avanti istanze serie e grandi come anche forme di servizio presbiterale femminile».

Contatti: plazzarini76@gmail.com e avv.saramilano@yahoo.it

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