Pagine Aperte

Farsi carico del bene e del giusto

di Massimiliano Padula, Presidente Copercom e docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi, Università Lateranense

La menzogna che diventa verità. Succede anche questo nel tempo caotico del web, dimensione della nostra esistenza così reale da diventare spesso rarefatta, sfumata, impercettibile. Fake news è l’espressione del momento e sembra, nostro malgrado, rappresentare un’urgenza da approfondire come se fosse una novità. Ma non è così. Il legame tra falsità e comunicazione è vecchio quanto l’umanità. Da quando l’uomo ha iniziato a liberarsi della perfezione della Creazione per diventare parte del mondo, ha, infatti, proiettato nelle sue azioni la sua bellezza ma anche le sue svariate ambiguità e deviazioni. Ha amato, gioito, aiutato l’altro ma anche mentito, ucciso, tradito. Non devono sorprenderci, quindi, le derive comportamentali né ha senso sforzarci di individuare presunti colpevoli.

La responsabilità rimane dell’uomo che, da sempre, ha “giocato” con le sue capacità, mettendole al servizio della verità o storpiandole nella menzogna. Comprendere questa differenza è il primo passo per concretizzare la sollecitazione di papa Francesco che, citando il Vangelo di Giovanni (8,32), ci dice a gran voce: «La verità vi farà liberi». E sceglie di farlo nel titolo del Messaggio per la 52a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (13 maggio 2018) dedicato proprio al tema delle notizie false e del giornalismo di pace.

Il Pontefice ci regala l’opportunità di riflettere, di conoscerla davvero quella verità che appare sempre più bistrattata da interessi personali o da intenzioni autoreferenziali. I social network con la loro enorme disponibilità, la loro infinitezza e (in molti casi) il loro anonimato possono farsi terreno fecondo di contenuti mendaci e fuorvianti ma possono anche diventare uno spazio catartico di esaltazione del bene e del giusto. Dipende ancora una volta da noi, dalla nostra capacità di intervenire, di discernere, di farci carico, di costruire, di stupirci e di indignarci.

Soltanto esaltando la nostra umanità una fake news resterà soltanto quella che è: un contenuto da cestinare.

Lo smartphone in classe?

Mai argomento fu più dibattuto (o forse no) tra docenti, genitori, istituzioni, ministri, giornalisti e pseudo professionisti dell’opinione da talk show: lo smartphone in classe? Eppure all’appello mancano proprio loro, i protagonisti: gli studenti che si ritrovano loro malgrado a vivere un tempo caotico, compressi tra una scuola che cambia (non sempre in meglio) e coloro che vorrebbero inquadrarli in norme, divieti, ricette, decaloghi, percorsi.

Loro, gli studenti nati digitali (una espressione che ha perso significato e senso a partire proprio da chi l’ha pensata) che con lo smartphone convivono, si relazionano, esprimono se stessi.

E non si tratta di una vita virtuale (come molti vorrebbero fare credere), né di un’esistenza patologica, sola, alienata, criminale. Si tratta di vita autentica. Dipende da loro ma soprattutto da noi: insegnanti, educatori, genitori, responsabili. Noi adulti che spesso non capiamo (o non vogliamo capire) scrollandoci di dosso quella responsabilità generazionale che ci impone di essere guida, bussola, testimonianza.

E quindi ancor prima di disquisire sullo smartphone in classe, proviamo a (ri)guardarci dentro (ri)scoprendo la nostra intelligenza. E in classe (oltre la tecnologia) preoccupiamoci di portare soprattutto quella.

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