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Quest’anno il Santo Padre ci invita ad “entrare nella dinamica del dialogo e della condivisione, che è appunto quella del comunicare cordialmente.” Col cuore. Con mitezza.
Quest’anno più che mai dobbiamo chiarire che la comunicazione non può essere in una sola direzione: la comunicazione istituzionale non può essere solo distribuzione di comunicati e anche quella giornalistica non può essere statica.
Senza il dialogo, senza la condivisione, senza una relazione vera non c’è vera comunicazione.
In realtà la comunicazione è sempre stata dinamica e oggi lo stiamo scoprendo ancora di più; oggi avvertiamo ancora di più l’esigenza di riscoprire le radici profonde della comunicazione.
La comunicazione è radicata nella relazione, nella comunione ed è orientata ad edificare la comunione.
Non c’è comunicazione se non c’è comunione.
E non c’è comunione se non c’è comunicazione.
In questo senso, la nostra creatività comunicativa non si limita alla capacità di scrittura, di ripresa fotografica cinematografica, di montaggio e così via, ma anche – o soprattutto – in quella di tessere relazioni profonde fra le persone.

La comunicazione che tesse la nostra comunione non è né tecnologica né funzionale, ma relazionale. Non è una scienza, non è una tecnica; è una esperienza costruttiva, attiva, partecipata.
Ecco il campo della nostra testimonianza, come comunicatori, come rete di comunicatori, come giornalisti, cercatori di una verità che ci trascende, costruttori di un modo diverso di fare informazione.
Come cristiani siamo chiamati a restituire il cuore alla comunicazione umana.
Siamo sommersi di informazioni non verificate, senza contesto, senza memoria, senza una lettura consapevole. E senza cuore.
Il primato della velocità impedisce spesso il controllo, la verifica, il discernimento. Alimenta la chiacchiera. Indurisce i cuori.
L’intelligenza artificiale minaccia di cambiare radicalmente se non persino di sostituire il ruolo dei giornalisti e dei comunicatori. Ma non ha il cuore.
Papa Francesco ci invita a rispondere usando come regola l’amore – l’unica cosa preclusa alle macchine, agli algoritmi. Amare bene per poter comunicare bene lo impariamo non dalle macchine, ma dai santi.
Se non sapremo distinguere fra una compilazione automatica di dati ed un racconto con l’anima; il giornalismo diventerà un modo come un altro per assemblare informazioni, perdendo di vista la ricerca e alla condivisione della verità.
Se non restituiamo il cuore alla nostra comunicazione, non solo perderemo il rapporto autentico con chi ci legge e ascolta, ma saremo anche incapaci di leggere i grandi cambiamenti della storia, che non sono sempre razionali.
Senza cuore, non capiremo nulla e non sapremo comunicare nulla.
Parlare con il cuore e ascoltare con il cuore significa – detto con le parole di Papa Francesco – “costruire, non distruggere; incontrarsi, non scontrarsi; dialogare, non monologare; capirsi, non fraintendersi; camminare in pace, non seminare odio; dare voce a chi non ha voce, non fare da megafono a chi urla più forte” (Discorso ai membri dell’Associazione Stampa Estera in Italia, 18 maggio 2019).
Solo così, solo dopo aver chiesto al Signore il dono del cuore mite e umile, solo dopo aver visto con gli occhi del cuore, ascoltato con l’orecchio del cuore, sapremo scoprire i nessi che ci uniscono gli uni agli altri e discernere anche il senso della storia.

Paolo Ruffini

Prefetto del Dicastero Santa Sede per la comunicazione

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