Dicono sia partito tutto da un meteorologo di una tv dell’Oklahoma, il quale l’11 gennaio ha sfidato gli amici su Facebook a postare una loro foto di oggi accanto a una di 10 anni fa. Un’idea che, in una sola settimana, gli è stata copiata e rilanciata da milioni di persone in tutto il mondo (e da vip di varia natura) invadendo Facebook, ma anche Instagram e Twitter. Un diluvio di foto del 2009 e del 2019, accompagnate dagli hashtag #TenYearsChallenge e #TenYearChallenge. Non sono mancate persone che hanno scelto di fare a modo loro, creando post ironici che mettono a confronto animali, trofei sportivi, auto, luoghi e oggetti vari.
Per tutti è solo un “gioco” che sfrutta la voglia di divertirsi degli utenti dei social. Ma Kate O’Neill, sul sito della rivista americana “Wired”, si è chiesta: e se tutto questo fosse un’enorme azione di Facebook «per addestrare un algoritmo di riconoscimento facciale sulle caratteristiche legate all’età e, più nello specifico, sulla progressione dell’età»?
Per Kate O’Neill, «ci sono tre modi per usare il riconoscimento facciale: uno buono, uno di medio rischio e uno pericoloso». Quello buono è che «una tecnologia di questi tipo potrebbe aiutare a trovare bambini scomparsi, ricostruendo i loro volti dopo anni dalla loro ultima foto conosciuta»… Insomma, a pensarci bene, alla fine non ha così tanta importanza se #10YearsChallenge sia un gioco o una sorta di schedatura di massa. Ciò che conta è che dobbiamo diventare sempre più esigenti con noi stessi (su ciò che postiamo e facciamo online) e con le aziende (per come usano e useranno i nostri dati). Questa è la vera sfida alla quale siamo chiamati. Ogni giorno. Anche quando pensiamo di stare solo giocando.